L’INTERVISTA A SERGIO VENTO 🖋️ a cura di Francesco Subiaco Lo scenario internazionale sembra vittima di un clima di ambiguità e incertezza che non fa altro che esacerbare la crisi dell’attuale (dis)ordine globale. Dai tentativi di imposizione di una nuova prospettiva multipolare alla spigolosità di un rapporto transatlantico che sembra infettato nelle sue fondamenta, i pilastri del mondo nato dopo il 1989 sembrano subire prepotenti istanze revisioniste. La globalizzazione che si era posta, dopo la caduta del muro di Berlino, come il sentiero che avrebbe portato verso l’orizzonte del the world is flat (Thomas Friedman) e della end of history (Francis Fukuyama), si rivela per troppi obsoleta. E nonostante i suoi meriti dagli Stati Uniti, alla Cina, alla Russia si ipotizzano nuovi obiettivi e nuovi immaginari da realizzare. In questo contesto lo stesso rapporto transatlantico, sembra essere vittima di una pesante ristrutturazione e riformulazione. Vuoi per le spinte revansciste di Trump che sembra incarnare questo malessere americano nei confronti dei partner europei e segue la bussola dei dazi per sanare il twin deficit americano (nella bilancia commerciale e nella finanza pubblica). Vuoi per l’ostinazione dell’UE vittima di una crisi esistenziale, prima che politica, che la condanna ad un immobilismo velleitario da indecisa superpotenza burocratica. [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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ANATOMIA DI DUE RIVOLUZIONI NOVECENTESCHE 🖋️ di Enrico Raugi Antonio Gramsci aveva mutuato il concetto di «rivoluzione passiva» dall’opera di Vincenzo Cuoco sulla rivoluzione napoletana del 1799. Quest’ultima non si era accesa a seguito di una scossa tellurica proveniente dalle classi subalterne. A scompaginare l’ordine monarchico borbonico erano state le armate giacobine discese in Italia due anni prima. I francesi avevano trovato il popolo partenopeo sprovvisto di coscienza di classe, passivo ed ostile, proprio in quanto ai loro occhi la rivoluzione rispondeva ad un’istanza non richiesta, essa era stata “importata”, per non dire imposta. Lo scollamento fra la classe intellettuale, che plaudì lo sconvolgimento politico, e la gran massa popolare, che non capiva i motivi di un tale tumulto e che, in qualche modo, si trincerò dietro alla convinzione antica secondo cui «un male conosciuto è meglio del nuovo», favorì in pochi mesi il tramonto della Repubblica napoletana e la restaurazione dei Borboni. Gramsci utilizzò – a ragione – questa lente per interpretare allo stesso modo la stagione del Risorgimento. Le classi popolari italiane, ancora lontane dalla possibilità di istruirsi, impermeabili ai fatti dalla grande storia che si stava compiendo sotto i loro occhi, subì passivamente la cosiddetta «funzione Piemonte». Ossia quella strana forma di rivoluzione che fu condotta dall’alto, portata a compimento dalla cavalleria savoiarda, con il consorzio di un nobile intellettuale come Cavour, il cui acume strategico aveva reso possibile il sogno dell’Italia unita sfruttando una finestra temporale favorevole nella bisca della politica europea. Per questo “difetto genetico” – più di un secolo dopo – l’Italia poteva ancora apparire nelle parole di Francesco Cossiga un paese «incompiuto». [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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LA VITTORIA DELLA REALPOLITIK 🖋️ di Ivan Branco Dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale e con la spartizione del mondo in due macro-blocchi, de iure ideologicamente contrapposti, due furono le conseguenze che scaturirono: la polarizzazione del conflitto e la monopolizzazione della politica da parte di sempre meno ideologie sempre più in competizione fra di loro. Caratteri che seguirono le tendenze della fine dell’influenza e dell’importanza delle alternative filosofico-politiche al liberalismo e al socialismo (come il pensiero tradizionale o fortemente conservatore di matrice monarchica o religiosa, oppure il pensiero dei fascismi e delle “terze vie”, o anche quello delle utopie radicali anarchiche e libertarie), e, dunque, anche con la fine dei pensieri e dottrine legate al movimento Romanticista. E, oltre a ciò, quei caratteri seguirono anche la tendenza del rafforzarsi dei due figli più maturi dell’Illuminismo: il liberalismo capitalista e il comunismo. Rafforzamento non solo e non più di due ideali politici e filosofici, ma soprattutto di due visioni che condividono la medesima origine razionalista, universalista e, in un certo senso, utilitaria. Così, con la fine della seconda guerra mondiale, l’ultimo conflitto in cui persisteva ancora una sorta di “multipolarità delle idee” e ancora influenzato dal senso della “volontà di destino”, e con l’inizio dello scontro fra due forze che volevano predominare sul mondo, la storia e il tempo, venne segnato il punto in cui la politica avrebbe perso la propria origine mitico-ideale. [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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OSTROGOTI NEL SALOTTO BUONO 🖋️ di Ivan Branco «Quello che mi colpì in quell’occasione era la quantità di penne e matite che Cuccia teneva nel taschino della sua giacca». Così Ferruccio de Bortoli, allora nominando direttore del Corriere della Sera, ricorda il suo primo incontro con lo storico direttore di Mediobanca, Enrico Cuccia, in occasione dell’ufficializzazione della sua elezione alla redazione di Via Solferino. Il fatto di approvare e convocare i direttori del Corriere è già eloquente sul potere del banchiere siculo, milanese d’adozione. Ancora più icastica è però l’osservazione di de Bortoli sulla varietà della cancelleria da tasca. Già molto si tramanda sulla proverbiale comunicazione non verbale del finanziere: famoso per essere riservato, essenziale e spesso aforistico nella parola. Egli forse era davvero capace di esprimere un messaggio per i collaboratori più stretti non solo con l’Italiano, ma anche con il tratto, il colore e il carattere del testo. Una lingua comprensibile ai soli iniziati, ovviamente. Ebbene proprio il carattere inziatico, quasi settario, si addice a descrivere la Mediobanca dell’era Cuccia. Era il “salotto buono del capitalismo italiano”, con il punzecchiante uso delle metafore dei giornalisti; il “capitalismo di relazione” per i più pseudoaccademici. [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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LA MODERNITÀ È UNA TELEVENDITA 🖋️ di Francesco Teodori La modernità in fondo non è che una televendita ben costruita. Qualora ci si rechi in viaggio nei paesi economicamente progrediti, e dunque culturalmente moderni, non si può che rimanere meravigliati (e intristiti) nel constatare che l’apice del progresso umano si realizza in delle sempre più avanzate modalità di consumo. Si prenda ad esempio la Corea del Sud. Nata in un miracolo sorto sulle rive del fiume Han, oggi si appresta ad essere uno dei paesi più progrediti ed economicamente avanzati dell’Asia. La ricchezza è visibile e si esibisce nell’elettrificazione della vita stessa: auto elettriche, mezzi pubblici elettrici, illuminazione stroboscopica ovunque, dalle metropoli ai piccoli centri antichi. Nelle metropolitane si scorgono armadietti pieni di maschere antigas e kit di sopravvivenza in caso di attacco chimico; flebili schegge di paura all’interno di un universo elettrificato pacifico ed edonista. Ci si domanda se risieda proprio in questo il culmine dell’umana civilizzazione. Ad ogni angolo di strada vi è un posto per mangiare, in ogni palazzo un negozio di qualche tipo. Ovunque inviti sfacciati al consumo. Ma soprattutto nei media. La televisione coreana è quasi interamente composta da televendite. [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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L’AFRICA È IL FUTURO DEL CALIFFATO 🖋️ di Andrea Falco Profili La caduta delle roccaforti fisiche dello Stato Islamico ha rappresentato per l’immaginario occidentale una cesura definitiva, la chiusura di un capitolo apocalittico. Tuttavia, questo tentativo di apporre precocemente un punto alla vicenda Daesh si rivela viziato da un errore fondamentale: la confusione tra forma politica e sostanza operativa. Lo Stato Islamico, nella sua fase post-califfale, ha abbracciato una nuova dottrina fondata sullo sviluppo di reti invisibili, parallele e sotterranee. Mentre le antiche capitali di Raqqa e Mosul giacciono sotto la sorveglianza occidentale, ridotte a simboli di un potere ormai evaporato, l’organizzazione ha completato la sua trasformazione in quello che potremmo definire un “soggetto nomade” del terrore: deterritorializzato ma non per questo meno efficace, anzi, paradossalmente potenziato dalla propria invisibilità. Il paradigma della decapitazione – la logica della lotta al terrore che vede nell’eliminazione dei vertici la soluzione al fenomeno jihadista – si rivela non solo inefficace ma controproducente. Ogni operazione mirata contro i quadri dirigenti, come quella recente che ha colpito un alto funzionario dell’organizzazione, non fa che alimentare il ciclo rigenerativo di una struttura che ha fatto della propria molecolarità la chiave della sopravvivenza. È la realizzazione pratica del modello dell’idra mitologica: per ogni testa recisa, due nuove emergono, spesso in luoghi geograficamente e concettualmente lontani dal teatro originario del conflitto. [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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📖 Grande partecipazione per la presentazione a Bruxelles de L’Impermeabile di Kabul, l’ultimo romanzo di Tonino Bettanini. Presenti, oltre all’autore, Elisabetta Belloni, già Segretario Generale della Farnesina, Alessandro Butticè, Dirigente emerito della Commissione Europea, e Michele Cercone, Direttore aggiunto per la Comunicazione del Comitato Europeo delle Regioni. Ringraziamo Piolalibri per la gentile accoglienza. ⚫️ L’Impermeabile di Kabul si acquista solo su Dissipatio
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IL COSTO DELLA MEDIAZIONE 🖋️ di Virgilio Marano L’azione di uno Stato quando si rivolge all’esterno assume dei connotati neutri. Ogni sfumatura politica e ideologica interna perde di consistenza quando questo si ritrova a comunicare con ciò che c’è al di fuori di esso. Gli Stati Uniti innegabilmente hanno giocato un ruolo fondamentale per appianare tensioni e tragedie fra due Stati vicini e nemici. Il trattato fra Armenia ed Azerbaijan risulta un successo in termini di pace, tanto da far maturare nel presidente azero Aliyev e quello armeno Pashinyan la convinzione che Donald Trump sia l’uomo della provvidenza e che come tale debba essere insignito del premio Nobel per la pace. L’orrendo conflitto che ha investito la regione per il controllo del Nagorno Karabakh sembra ormai avviarsi verso la sua conclusione, segnando l’inizio di un nuovo corso, o, per meglio dire, di un nuovo corridoio. Nei fatti, gli Usa si sono comportati nell’attività di mediazione come soggetto agente, portatore di interessi personali funzionali al controllo della regione, introducendo il “corridoio TRIPP” (Trump Route for International Peace and Prosperity). Per il ruolo svolto gli Stati Uniti ottengono infatti la gestione diretta del corridoio di Zangezur (ribattezzato appunto TRIPP) per 99 anni, con possibilità di controllo sulle operazioni di transito (strade, ferrovie, energia e telecomunicazioni). Il corridoio ha una lunghezza di 43 chilometri ma appare come gioiello strategico all’interno della regione: attraversa il sud dell’Armenia, collegando il territorio principale dell’Azerbaijan alla sua exclave di Nakhchivan. Pur rimanendo formalmente sotto sovranità armena, il passaggio diventa un’arteria strategica per commercio e connessioni regionali, correndo vicino al confine con l’Iran e ridisegnando equilibri geopolitici nella regione. [continua su Dissipatio…] ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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⚪️ Sestino Giacomoni è uno di quegli uomini che si muovono tra le istituzioni con discrezione, senza cercare il clamore, ma lasciando traccia di pragmatismo, coerenza e sensibilità. La sua carriera attraversa la politica nazionale e il servizio pubblico, con tappe che ne delineano la competenza e la capacità di mediazione. Formatosi come giovane consigliere comunale presso il Comune di Mentana nelle liste della Democrazia Cristiana alla fine del 1993, si avvicina al nascente movimento berlusconiano partecipando come volontario al Centro Studi di Forza Italia coordinato da Paolo Del Debbio. Diventando poi nel 1996 Responsabile organizzativo del Dipartimento Economico del partito e assistente parlamentare di Antonio Marzano. Nel 2001 segue Marzano come capo della segreteria tecnica al Ministero delle attività produttive. E ricopre, inoltre, le cariche di consigliere di amministrazione della SACE, della Consap e dell’IPI, di cui è stato anche vice-direttore generale. Successivamente è diventato parlamentare, assistente tra i più fidati e capaci di Silvio Berlusconi, consulente e tecnico nei governi del centrodestra, prima di approdare alla guida della Consap di cui ha sottolineato il mandato sociale e la missione come agente di una più concreta giustizia generazionale. Come ha ribadito durante la prima relazione annuale della Consap del 2025. Dotato di grande competenza e rigore, Giacomoni conserva però una profonda umanità. La sua attenzione alle persone, alle famiglie e al merito non è retorica, ma scelta concreta: un segno di stile. Uno stile che ha portato anche in Consap grazie alla sua capacità di essere oratore carismatico, ma anche attento uomo del silenzio. Ciò in quanto non è una personalità che utilizza il silenzio per timidezza o opacità, ma in quanto sa operare con efficacia senza confondere visibilità e autorevolezza. [continua su Dissipatio…] 🖋️ La confessione a cura di Francesco Subiaco ⚫️ Entra nel Nucleo Operativo
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