🟢 È giunta ormai l’aurora, si spengono i fanali, riverberano i rumori, si riaccende l’insegna di quell’ultimo pub; le strade si ridestano, il Tamigi scorre lento mentre, solo, va un tory in frac; sul papillon di seta blu si impigliano i versi di una canzone, da Baker Street, dedicata a lui… Light in your head and dead on your feet, Well another crazy day, You’ll drink the night away, And forget about everything, This city desert makes you feel so cold. Dimenticare, cosa difficile: in meno di 6 settimane la Gran Bretagna ha posto la parola fine all’ultima era conservatrice, ridotta ad un parodistico feuilleton; è arrivato il Labour, mentre a Downing Street irrompe Sir Keir Starmer, il jedi capace di controllare.
Le forze dell’opposizione e di lottare con il lato oscuro degli estremismi a là Corbyn, non a caso apprezzato dal transalpino Mélenchon; al Sunak in frac, a nulla è servito indire elezioni anticipate, volte a contenere l’effetto delle umilianti forche caudine da lacrime e sangue del bilancio settembrino. Negli ultimi anni il debito pubblico è lievitato, dal 75% del PIL nel 2010, primo anno tory dopo i labour Blair e Brown, al 101% del 2023, con un deficit fuori controllo specialmente dopo il disastro del mini budget Truss del 2022. Il giudizio elettorale è stato inappellabile, con l’attribuzione al partito laburista di 412 seggi, una performance seconda solo a quella di Blair del 1997 e con la debacle tory che rievoca gli spettri del 1832 o del 1906 con 156 seggi; da sempre il partito tory ha rappresentato l’alleanza tra City e società; gli epigoni di Peel e Thatcher sono riusciti nella mission impossible di alienarsi entrambi.
🖋️ L’approfondimento di Gino Lanzara
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