«La futura classe dirigente», romanzo d'esordio di Peppe Fiore, torna in libreria in una nuova edizione.
«Bevo, penso spesso a quando da piccolo l’estate mi faceva riconoscere già dentro di me una inspiegabile ansia di congiungimenti che non riuscivo a capire. Il caldo, il sudore, mamma e papà: ogni cosa diventava sensibile e sessuata, come tante ferite dolci. Io pure – sempre da piccolo – in estate mi sentivo un minuscolo trauma ambulante in mezzo a tutta un’umanità di traumatizzati, e a modo mio ero felice così. Quest’anno, no. Nemmeno il caldo riesce a scollare le cose dalla loro permanenza: il lavoro, i cani che abbaiano dai giardinetti padronali, il telegiornale alle venti, l’Estate Romana, le bruschette mozzarella e alici, le code sulla Pontina nel fine settimana per guadagnare la malinconia dorata di Sperlonga. Scolo il bicchiere, mi faccio da mangiare. È il 10 luglio del 2007, tra un mese e qualcosa è il mio compleanno. Per abituarmi alla schifosissima idea, ogni volta che qualcuno me lo chiede sto dicendo che ho già ventisei anni compiuti. La qual cosa mi procura regolarmente un morso in pancia. E allora penso: sarà gastrite, devo andare da un medico».
Comico, caustico, eccessivo, irresistibile, La futura classe dirigente è l’attraversamento della linea d’ombra nell’era della demenzialità istituzionalizzata e della volgarità al potere. Ma anche l’analisi amara e impietosa di un paese attraverso la messa alla berlina della sua «santa trinità»: la famiglia, il sesso, la televisione.