In questo angolo di terra e sole, si lavora la canapa come si faceva una volta. Le piante sono state spezzate, scorticate, liberate dal legno per mettere a nudo ciò che davvero conta: la fibra. Si chiamano fibre liberiane, e il nome evoca pagine, racconti, archivi vivi di un sapere antico.
Guardale appese lì, al filo della pazienza, a prendere vento e luce. Sembrano fogli di un libro dimenticato, un libro di fibre e silenzi, dove ogni stelo è una riga e ogni ciuffo un paragrafo scritto da mani ruvide e sapienti. Non è solo materia: è memoria che asciuga sotto il cielo.
La canapa è generosa. Cresce rapida, forte. Le sue fibre, tenaci e lunghe, hanno vestito marinai, impacchettato mercanzie, avvolto sogni rurali. Oggi tornano a raccontarsi, in questo piccolo teatro di gesti lenti e necessari.
Qui, ogni filo è una parola, ogni mazzetto una poesia non detta. Le fibre liberiane non si leggono: si toccano, si ascoltano, si lavorano. E ci insegnano che, a volte, le storie più vere non sono scritte sulla carta — ma sono la carta.